Lo scandalo poetico della nonviolenza

(Editoriale del numero 3 / 2022 di Azione nonviolenta)

Nel centenario della nascita dedichiamo un numero monografico a PPP, Pier Paolo Pasolini. Poeta, regista, scrittore, insegnante, sceneggiatore, drammaturgo. Pasolini è un intellettuale a tutto tondo. Forse l’ultimo intellettuale del Novecento. Non abbiamo nessuna pretesa di presentarne qui il pensiero complesso, e nemmeno un aspetto particolare.

L’obiettivo minimo che ci prefiggiamo è quello di stimolare i nostri lettori che non l’avessero mai fatto – specialmente i più giovani – alla conoscenza dell’opera pasoliniana, dalle sue poesie ai suoi film, dai suoi scritti alle sue inchieste.

Gli articoli che pubblichiamo seguono una traccia ideale: Pasolini e Capitini; Pasolini e don Milani: Pasolini e Langer; Pasolini e il sacro; Pasolini e il Partito d’Azione; Pasolini e San Paolo; Pasolini e la guerra; fino a concludere con Pasolini e le canzoni, un saggio magistrale di Enrico de Angelis (più che letto, va studiato) che ci introduce nel potere magico del mondo musicale pasoliniano che aveva bisogno “delle parole dei poeti, non dei parolieri”.

Pasolini sapeva osservare la realtà per poi raccontarla trasformata dal suo linguaggio: “il sacro è il reale per eccellenza” e quindi la società desacralizzata va combattuta perché “non ha nessun senso, non offre nessuna apertura verso l’universale, verso il mondo dello spirito”.

Nel suo tortuoso percorso di vita PPP si è servito dello scandalo espressivo per cercare la poesia. E quale scandalo poetico più forte se non quello della nonviolenza? La nonviolenza pasoliniana (incontrata grazie alle Marce della Pace di Capitini) è aristocratica, evangelica, laica: “non c’è contraddizione tra la sua elezione e la sua popolarità. La nonviolenza è l’atteggiamento sentimentale e persuasivo di chi si è totalmente liberato attraverso gli strumenti della ragione e della cultura” (liberazione, apertura, persuasione, sono espressioni capitiniane che PPP fa proprie).

Pasolini, dal 1961 con Aldo Capitini, fino al 1975 con Marco Pannella, ha incarnato e perseguito la sua personale nonviolenza pasoliniana, né religiosa-capitiniana, né radicale-pannelliana, ma autenticamente altra. Una nonviolenza tragica, tra mito e morte (“È realista solo chi crede nel mito”; “Solo grazie alla morte la nostra vita ci serve ad esprimerci”; “È assolutamente necessario morire, perché finché siamo vivi manchiamo di senso”) che capiamo solo attraverso la fruizione delle sue opere, e che trova il culmine massimo nella sua assurda morte violenta. “Aaaah .. Mo’ sto bene” sono le ultime parole di Accattone che muore, rivolto a il Cartagine, mentre il Balilla è in lacrime. Accattone muore tra i due “ladroni”. PPP muore assassinato il 2 novembre, nel giorno dei defunti, sulla spiaggia dell’idroscalo di Ostia. Possiamo immaginare che nel momento del trapasso pensò “Aaaah .. Mo’ sto bene”, mentre i “ladroni” criminali lo seviziavano. La violenza uccide Pasolini; il suo ultimo scritto, che pubblichiamo integralmente, è invece centrato proprio sulla nonviolenza politica, dove dichiara il proprio amore per la religione laica della democrazia, dove ribalta il concetto di diritti civili, dove si dichiara perdente. Da nonviolento tragico, PPP aveva ben riflettuto sull’idea di sconfitta: “In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare…. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. È un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco. Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…

La nonviolenza perdente è la sola vittoria possibile. Bello.

IL DIRETTORE